“Liberare le divinità nere”: perché sempre più musei europei si stanno decolonizzando


Olusegun Adeleye, responsabile della mostra presso il Museo nazionale, espone i bronzi del Benin trafugati durante la cerimonia di consegna al Museo nazionale nigeriano a Lagos, Nigeria, 21 giugno 2025
I Paesi Bassi hanno restituito la scorsa settimana ben 119 bronzi del Benin alla Nigeria: si tratta di manufatti razziati dall’esercito britannico nel 1897 nell’allora Regno di Benin. Centinaia di opere di questo tipo sono esposte in vari musei e varie collezioni d’Europa, ma questa restituzione non è la sola avvenuta ultimamente. Nel corso degli ultimi anni diversi paesi occidentali hanno iniziato a riconsegnare opere e manufatti sottratti ai paesi che avevano colonizzato. Lo scopo è quello di decolonizzare i musei europei. Ma cosa significa?
I musei europei sono zeppi di opere provenienti dal Sud del mondoIl British Museum conserva al momento circa 69mila manufatti africani. Non è da meno il Louvre, che oltre a possedere molti pezzi originari di questo continente, possiede anche un dipartimento dedicato alle “Antichità Orientali”, che include opere provenienti da Mesopotamia, Iran e Levante. E in Italia abbiamo il famoso Museo Egizio di Torino, interamente dedicato alla cultura dell’Antico Egitto - il più grande al mondo di questo tipo dopo quello del Cairo.

Sono solo alcuni esempi, ma i principali musei pubblici europei possiedono in totale oltre mezzo milione di oggetti provenienti dalle ex colonie dei loro Paesi. “Secondo gli esperti, oltre il 90% del patrimonio artistico dell’Africa sub-sahariana si trova oggi fuori dal continente, a causa dell’occupazione coloniale tra XIX e XX secolo”, scrive Sarah Schug su The Parliament. Questo significa che la popolazione africana è in gran parte privata dell’accesso alla propria eredità culturale e artistica.
La restituzione dei beni trafugatiIl tema - sebbene sembri recente - inizia a salire agli onori delle cronache negli anni Sessanta, con la decolonizzazione e l’indipendenza di molte nazioni africane. Nel 1965 lo scrittore del Benin Paulin Joachim chiese ai musei occidentali di "liberare le divinità nere, che non sono mai state in grado di svolgere il loro compito nell'universo ghiacciato del mondo bianco dove sono tenute prigioniere".
La prima richiesta ufficiale di restituzione in un contesto coloniale fu avanzata dalla Nigeria nel 1972, accolta con indifferenza e ignoranza. Ma i primi risultati non furono ottenuti con la diplomazia, ma con la compravendita tramite aste di alcuni manufatti. Da un punto di vista legale, non esistono leggi che regolino chiaramente queste rivendicazioni e inoltre, essendo passato così tanto tempo, i musei possono invocare la prescrizione. Nel corso dell’ultimo decennio, si sono visti però i primi cambiamenti, dovuti probabilmente a un cambiamento culturale e di sensibilità. Nel 2023 i Paesi Bassi hanno restituito 478 oggetti a Indonesia e Sri Lanka, pochi mesi prima, la Germania aveva restituito 22 bronzi del Benin alla Nigeria, e Belgio ha creato un quadro giuridico per le restituzioni future e ha condiviso l’inventario del suo Africa Museum di Tervuren (120.000 oggetti) con i governi africani.
Il “diritto al patrimonio” dell’AfricaUn importante documento che contribuì a questo cambiamento culturale è il rapporto Sarr-Savoy, commissionato dal governo francese e pubblicato nel 2018. La storica francese Bénédicte Savoy e l’intellettuale senegalese Felwine Sarr raccomandano nel documento la restituzione pura e semplice, a tempo indeterminato, di migliaia di oggetti acquisiti come bottino di guerra.
Nell’introduzione i due studiosi spiegano: “La questione delle restituzioni punta il dito al cuore di un sistema di appropriazione e di alienazione, il sistema coloniale, di cui alcuni musei europei oggi sono gli archivi pubblici (…). Per un continente dove quasi il 60% degli abitanti ha meno di vent’anni restituire significa garantire ai giovani africani l’accesso alla loro cultura, alla creatività e alla spiritualità di epoche sì passate ma la cui conoscenza e il cui riconoscimento non dovrebbero essere riservati alle società occidentali o delle diaspore che vivono in Europa. I giovani africani, come quelli in Francia e in Europa, hanno un ‘diritto al patrimonio’”. Dopo la diffusione del rapporto, il movimento Black Lives Matter, nato nel 2020 a seguito dell’omicidio di George Floyd per mano delle forze di polizia statunitensi, dà una nuova spinta alla discussione pubblica: con la sua ondata di discorso anti-razzista e ripensamento del colonialismo, obbliga a ripensare anche al patrimonio storico africano trafugato dai colonizzatori. Questo porta a una maggiore consapevolezza e sensibilità sul tema. E anche se la restituzione fisica resta - per ora - un’eccezione, i musei occidentali non possono più ignorare la questione. Il problema rimane che le azioni procedono a rilento e che, da ex colonizzatore, il mondo occidentale pretende di decolonizzare alle proprie condizioni, ponendosi in una posizione di forza rispetto ai Paesi che chiedono di poter riavere il proprio patrimonio. E vedendo queste restituzioni come una gentile concessione, più che come un atto dovuto.
© Riproduzione riservata
Tag dell'articolo
MuseiMuseiUnione EuropeaLuce